La Società tra Avvocati

Dal 1° gennaio 2018 agli avvocati è stata riconosciuta la possibilità di esercitare la professione forense in forma societaria grazie alla disciplina contenuta nell’art. 4 bis L. 247/2012 (Legge professionale forense) – che va a sostituire la precedente disciplina contenuta negli artt. 16 ss. D. Lgs. n. 96/2001 – introdotta con l’art. 1 co. 141 L. 124/2017 integrato poi dalla L. 205/17. La disciplina, per quanto lasci lacune di regolamentazione ed interpretazione, al comma 2 stabilisce che: a. la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto debba far capo per almeno 2/3 ad avvocati iscritti all’albo o ad avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi professionali a pena di scioglimento della società stessa e cancellazione dall’albo; b. la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati; c. l’organo di gestione non può avere componenti esterni alla società riconoscendo ai soci professionisti la possibilità di ricoprire cariche di amministratori. Il dettato sulla ripartizione genera incertezze in quanto indica che la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto, ammessa nel limite minino di 2/3, faccia riferimento non soltanto ad avvocati ma anche avvocati congiuntamente a professionisti esercenti professioni protette.

La norma, con il chiaro intento di stabilire che la società sia amministrata da avvocati, sembra ignorare il caso in cui all’interno di questa “maggioranza qualificata” vi sia una minoranza di avvocati a fronte di una maggioranza di soci professionisti. Tra l’altro la formulazione lascerebbe spazio a poteri derogatori in melius della suindicata ripartizione che, nel caso ora prospettato, vada a ridurre ancor di più il potere amministrativo e decisionale dell’avvocato. Ci si interroga anche sul senso che il legislatore ha voluto attribuire al concetto di organo di gestione indicato nella lettera b, considerando che esso viene utilizzato, e denominato, in modi differenti a seconda della ragione sociale scelta. Al riguardo il comma 1 statuendo che l’iscrizione della S.t.a. vada presentata in una sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella circoscrizione in cui ha sede la società, lascia una sostanziale libertà alle parti in ordine alla scelta del modello societario, potendo l’avvocato scegliere tra società di persone, società di capitali o società cooperative. Unico limite imposto è il divieto di partecipazione tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona.

A far riflettere sono anche i “silenzi” della norma. Sembra pacifico che il restante 1/3 del capitale sociale e dei diritti di voto possa essere composto dalla partecipazione di professionisti “semplici” – non iscritti ad albi professionali – altresì pacifica la possibilità tra avvocati e professionisti di stipulare patti parasociali in deroga all’atto costitutivo che stabiliscano una diversa ripartizione degli utili della società. Una volta iscritta la S.t.a., la prestazione professionale è svolta personalmente dall’avvocato o comunque dal socio che ne ha la qualifica in ragione delle richieste del cliente; ai sensi del co. 4 si stabilisce che la responsabilità della società e quella dei soci non esclude la responsabilità del singolo professionista che ha eseguito la specifica prestazione. Rilevante ai fini del discorso è anche il co. 6 che rinvia, in riferimento alla professione forense esercitata in forma societaria di cui al co. 1, al rispetto del codice deontologico forense e alla disciplina dell’ordine di appartenenza.

 

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